A Jamhor
Chefren corre.
Irruente come la gran parte dei giovani, non vuole che la sua vita venga gestita da alcuno. Che c’entra lui con le promesse fatte, ancor prima della sua nascita, dal re suo padre agli abitanti di un’isoletta che mai ha sentito nominare? Gli Assiri, i Ragnus, i due re, Janhor, soprattutto Janhor che geme in catene, non fanno parte del suo mondo, dei suoi progetti di vita, non gli interessano. Cerca di spiegarlo al re suo padre, ma è inutile. Il vecchio saggio Dai gres è deluso e furente: il suo unico figlio rifiuta di proseguire la missione paterna. Mai mai lo avrebbe immaginato. Per la prima volta fra i due volano parole amare.
Chefren china il capo ed esce dalla sala del trono. Sella il cavallo, prende qualcosa (cibo, non altro) e va via.
Corre via. Dove, non lo sa.
Il suo amico Raimondo lo guarda e approva. No, non tutto in verità; approva soprattutto il fatto che abbia preso solo del cibo. Lui, il principe, avrebbe potuto portar con sé oro e pietre preziose che gli avrebbero permesso agi e qualche lusso. Ed invece no.
-“Bravo! Bisogna avere il coraggio di affrontare le conseguenze delle proprie azioni, delle proprie decisioni”- pensa Ray. Lui comunque suo padre non lo avrebbe lasciato; ci avrebbe litigato a lungo, ma non sarebbe andato via. E tuttavia non giudica, non critica; pensa che lui ha la mamma ed il suo amico Chefren no.
Ed ora vuol vedere dove correrà; sarà un problema seguirlo. Anche Ray ama viaggiare: spesso si distrae e da una pagina di storia o da un calcolo di matematica vola in posti meravigliosi, lontano lontano, fra le montagne di ghiaccio che scivolano sul mare silenziose e terribili, fra i deserti con colline che son dune che cambiano forma e dimensione come le nuvole.
Anche ora socchiude gli occhi e sorride; è di nuovo in viaggio, per un momento ha dimenticato il suo amico Chefren. Lo dovrà riacciuffare in fretta, altrimenti lo perderà del tutto: i tremilacento anni che li separano sono tanti, sono una distanza grande davvero