NEL MONDO DELLE MIE BESTIE - Dionisio Del Grosso

NEL MONDO DELLE MIE BESTIE - Dionisio Del Grosso

Un veterinario, scrittore e pittore, di quelli che
amano il loro lavoro e le bestie che curano, superando schemi oleografici, con
semplicità e poesia ci introduce nel mondo vero della vita di campagna anche
attraverso trentatré fra quadri e foto artistiche di rara bellezza.

(pag104)

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15,00 € tasse incl.

Uscire ad agosto prima dell’alba è piacevolissimo; l’aria è pulita, tutto è tranquillo, le strade sono vuote, c’è un gran silenzio, tanto che sarebbe quasi possibile sentire dalla città i ticchettii delle mungitrici nelle stalle e le cantilene dei mungitori che invitano le bufale ad entrare nelle sale per farsi mungere. Ogni bufala ha un nome ed ogni mungitore le conosce tutte quante, anche se sono centinaia, perché ogni bufala ha una faccia diversa, una mammella diversa, un modo di camminare ed un carattere diverso, ogni bufala cala il latte in tempi diversi e tutte quante riconoscono la voce del mandriano. Una volta, non tanto tempo fa, quando ero ancora ragazzino, la mungitura era una meraviglia: non esistevano ancora le mungitrici meccaniche e prima dell’alba i bufalari, dopo aver raccolto le bufale in grossi recinti detti procuiali, oppure dopo averle legate alla mangiatoie dentro grosse stalle, si legavano dietro uno sgabello con un unico piede centrale, e cominciavano a mungere a mano, seduti. In estate vivevo col nonno e all’alba, da casa sua andavamo in calesse alla masseria. Aspettavo tanto quel momento perché nonno mi faceva guidare. Io agitavo in aria la frusta facendola schioccare, alzavo e abbassavo le redini sul dorso della giumenta per affrettare il suo trotto, volevo arrivare il più presto possibile per andare anche io a mungere le bufale. Una volta arrivati correvo subito nella stalla. Le bestie erano già tutte legate con la catena alla mangiatoia; col respiro e col calore del loro corpo rendevano l’ambiente nebbioso e quel vapore acqueo che si formava faceva sgranare i colori e mi impediva di vedere gli animali più lontani. I bufalari per ogni bufala chiamavano il suo vitello intonando con un canto il nome della madre, e i piccoli, chiusi in un recinto vicino, uno dopo l’altro, entravano nella stalla correndo verso la madre che, sentendo quella voce e vedendo arrivare il figlio, emetteva un richiamo sordo e tenero, si inarcava ed allargava le zampe posteriori quasi a porgere al figlio tutto il latte che aveva. Il vitello cominciava subito a succhiare prendendo a testate la mammella della madre che automaticamente calava il latte. Dopo un poco i piccoli venivano allontanati, il mungitore cominciava a mungere con le sue grandi mani, stringendo e rilasciando i capezzoli, due per volta, spingendo il latte nei grossi secchi zincati, a getti prima sottili e poi sempre più grossi e pesanti. Io ero inebriato dal rumore degli schizzi di latte nei secchi di zinco e man mano che questi si riempivano, in superficie si creava uno strato sempre più spesso di panna bianca e schiumosa. Ogni bufala ed ogni suo figlio riconoscevano il proprio nome; i nomi di una volta erano bellissimi: il più usato era Quann’è Austo, proprio perché molte bufale partorivano in quel mese; poi c’era il Maresciallo, la Bersagliera, Mai contenta, Lasciala stà, Generale Maneila m’pietto. Capaianca era quella che aveva macchie bianche alla testa. Poi c’erano quelle che avevano un vizio o un difetto particolare, e quindi si trovavano ‘A mezzarecchia,‘A zoppa, ‘A cecata. C’erano quelle che avevano un portamento particolare,‘a signorina, alcune erano la supponta di qualche operaio o di qualche altra persona, per cui c’erano bufale che si chiamavano ‘U signurino, ‘A massara,‘U dottore.

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